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Visualizzazione dei post da ottobre, 2014

Una fotografia è un piacere.

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Ma sono buone le fotografie di Steve McCurry per il nuovo calendario Lavazza oppure no? Sulla rete diverse voci affrontano la questione. La maggior parte sono dell'idea che le fotografie di McCurry non siano buone perché appesantite da una postproduzione talmente evidente ed invadente da rendere ben poco verosimili i soggetti in esse ritratti. Poi però se si va a vedere la produzione recente di questo fotografo sul suo sito non c'è tutta questa differenza: colori saturi che più saturi non si può, luci improbabili e fotografie che sembrano icone psichedeliche. Sì, forse qualcosa di plasticoso in più in alcune c'è, però questa è la cifra del fotografo, fin dai famosi tempi della bambina afgana dagli occhi verdi . Allora McCurry, in assenza di tecnologie digitali, usava il Kodachrome, che era la pellicola con i colori più "finti" mai prodotta. Le sue supersaturazioni, esaltabili stampandola su Cibachrome, sono rimaste leggendarie. Detto questo, in ogni caso, la

Lodi all'etica, meglio se donna.

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Ieri una scappata, la prima, finalmente. Il Festival della fotografia etica , mi ha sempre incuriosito, per via del nome altisonante, ma anche respinto, perché si presenteva come settoriale: cose per addetti all'informazione sulle gambe storte di quel cane che è il mondo. Il mio interesse per il fotografico si sviluppa su terreni visivi più ampi di quelli del giornalismo fatto con le immagini, il quale, ai miei occhi, soffre da parecchio tempo di un forte problema di inaridimento iconografico . L'ennesimo primo piano del volto di un bimbo africano con gli occhi spalancati da qualche disgrazia o la rappresentazione di violenze e situazioni border line sempre con gli stessi stilemi drammatizzanti in prevalenza fatti di contrastati bianco e nero dilatati da grandangoli sempre più esasperantemente vicini all'azione (Capa docet) producono alla fine una sterilizzazione delle emozioni, una interscambiabilità di una situazione con l'altra. Finisce che se non si passa il te

Guardar per terra.

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Alla Triennale di Milano è ancora visibile fino al 9 novembre prossimo la mostra Nessun luogo. Da nessuna parte. Viaggi randagi con Luigi Ghirri . Accompagna la mostra un libro omonimo edito da Skira con saggio di Arturo Carlo Quintavalle. L'operazione è ambigua. Sotto le spoglie di un recupero culturale importante, quello del Ghirri che fotografava per Guerzoni quando non era nemmeno lontanamente il Ghirri che poi sarà, si cela a mio parere l'ennesima operazione di marketing sui resti lasciati dal fotografo scomparso precocemente nel 1992. Quelle fotografie fatte da Luigi Ghirri saltano fuori solo ora dall'archivio privato di Guerzoni, dove erano conservate come materia prima in parte non utilizzata per le sue opere d'artista, perché Luigi Ghirri, l'amico che all'epoca gli forniva la competenza fototecnica, proprio in questi anni, con colpevole ritardo aggiungo io, ha preso finalmente la patente ufficiale da " artista ", assegnata dagli add

Una fotografia non è una mela.

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©2014 Fulvio Bortolozzo. Ultimamente sulla rete, leggo post e commenti vari che in sintesi girano intorno al rapporto tra le parole e le fotografie. Mi pare di vedere una tendenza maggioritaria a considerare questo rapporto in funzione delle parole. Un'immagine vale mille parole, si diceva un tempo. Poi qualcuno chiosò: "Purché vengano dette". Ora, purtroppo, le dicono per davvero e ne dicono anche molte molte di più. Troppe. In passato su questo blog ho già scritto della questione, e altre volte ancora mi sa che ne scriverò. Se si prende una fotografia, se si guarda una fotografia è perché aggiunge qualcosa di indicibile. Non scivoliamo via in fretta da questa parola: "indicibile". Esiste qualcosa nella nostra vita che sia indicibile? Io sono convinto di sì. Penso, sento e molte cose mi accadono e mi attraversano senza riuscire a diventare parole, frasi, pensieri razionali. Una fotografia, in qualche caso fortunato, può contenere tracce di questo "indi

SI FEST, l'ultimo giorno.

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Finalmente del tempo tutto per me. Ben speso direi. Un'incursione al SI FEST OFF dove ho potuto trovare diversi lavori decisamente interessanti. Poi una doverosa genuflessione davanti alla bravura di Gerry Johansson: fotografie silenziose, dense, ricche di cose da osservare con tutta calma. Proprio l'approccio al fotografico che prediligo. Un veloce salto alla lettura portfolio e una chicca: Arte, fotografia e media negli anni Settanta . Io c'ero, alcune edizioni le possiedo da allora. Effetto nostalgia. In ultimo riesco ad arrivare nel tratto finale del dibattito sulla "Nuova fotografia italiana", ma più che di cose nuove ho ricevuto l'impressione di cose vecchie che stentano a comprendere la contemporaneità. Forse saranno pure arrivati dei nuovi barbari riuniti in collettivi autoreferenziali e che fotografano pieni di ingenua fiducia nella possibilità  di rappresentare e documentare, ma certo restare al riparo di lezioni vecchie di decenni, e mai portate d

SI FEST, davvero un altro giorno.

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Il giorno più lungo, per me. Tavola rotonda il mattino. Molto vivace e piena di spunti di riflessione. Tra l'altro ho finalmente stretto la mano a Michele Smargiassi per la prima volta. Esiste davvero. Primo pomeriggio presentazione in municipio di Questo Paese , con slide show, alla presenza di diversi fotografi del progetto. C'erano pure Giancarlo Rado e Luca Moretti, dalla rete alla realtà. Poi giù in piazza a vedere portfolio, un paio li ho segnalati. Sempre coinvolgente come esperienza. Da ripetere. Infine la serata all'ex Mir Mar con Claudio Corrivetti, davvero grande nell'organizzare e portare a buon fine il tutto, e Alessandra Capodacqua.  Molti dei collettivi in mostra hanno così potuto prendere brevemente la parola davanti ad un pubblico particolarmente interessato. Momento straordinariamente pieno di energia, avvertita e dichiarata da molti dei partecipanti. Quest'anno i curatori Stefania Rössl e Massimo Sordi, oltre al merito di predisporre in tempi mo

SI FEST, domani è un altro giorno.

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Sono stanco, giorno denso più del previsto questo venerdì inaugurale del SI FEST #23. L'organizzazione tiene, tutti si danno un gran da fare, con cortesia e disponibilità estrema: dal più fresco d'esperienza dei volontari fino ai curatori stessi, Stefania Rössl e Massimo Sordi, che stasera vedevo davvero molto provati dall'enorme mole di lavoro messo in cantiere, in specie con Laboratorio Italia . Chiaramente qualcosa sfugge sempre durante così grandi lavori in corso con così esigue forze in azione, e stavolta è toccato proprio a Questo Paese che non vede ancora attiva la propria installazione, occupata tra l'altro in parte dall'accastamento del necessario per una piccola zona bar da concerti. Non me la sono però sentita di prendermela con gli organizzatori, anche se ne avrei avuto ben ragione, perché sinceramente ho apprezzato l'idea e lo sforzo, caotico sì, di mettere insieme 35 realtà collettive, sperimentali ed estremamente interessanti attualmente atti

Questo Paese al SI FEST #23.

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©2005 Fulvio Bortolozzo - dalla serie Scene di passaggio (Soap Opera). Ci siamo. Domani sera sarò a Savignano sul Rubicone e ci resterò fino a domenica mattina. L'occasione è quella del SI FEST , erede di quel Portfolio in Piazza , che fu una ormai storica manifestazione della cultura fotografica nostrana. La prima volta che ci andai fu proprio per via della formula "easy" che conteneva: potevi anche svegliarti al mattino presto del venerdì, ramazzare dal cassetto qualche foto e la portavi a vedere lì, senza altra incombenza che fare un poco di coda per scegliere chi avresti voluto che ti bastonasse l'ego. Fu così che nel 2005 mi risolsi d'impulso a portare due serie su cui stavo lavorando: l'interminabile e autobiografico Scene di passaggio (Soap Opera) e Olimpia , un attraversamento notturno dei luoghi di Torino in trasformazione. Avvennero fatti miracolosi. Fabrizio Boggiano mi guardò le stampe di Scene , vuoti luoghi urbani e semiurbani, come stess

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