Permettersi un Ghirri? No, grazie.

Riproduzione dal fotolibro "Kodachrome" del 1978.

Sulla webzine Fotografia Magazine è stata pubblicata il 18 dicembre scorso un'intervista a Eugenio Re Rebaudengo dal titolo "Puoi permetterti di comperare queste fotografie di Luigi Ghirri?" alla quale rimando i lettori che vogliano meglio comprendere i motivi di questo articolo. Qui mi preme solo rispondere alla domanda evocata nel titolo, che fa riferimento all'iniziativa di proporre al mercato collezionistico stampe originali di Ghirri a svariate migliaia di euro ciascuna, contando sulla loro inevitabile rarità, dovuta alla scomparsa prematura dell'autore e alla sua noncuranza in vita delle logiche di tiratura ed edizioni numerate tipiche del mercato di beni d'arte e di lusso.

No, non posso permettermelo di comperarle e però anche se potessi non lo farei, proprio per rispetto di Luigi Ghirri che per tutta la vita si era mosso fuori dalle logiche più commerciali del mercato dell'arte. Ho i suoi libri fondamentali, nelle edizioni originali che comperai quando furono pubblicati e lui non era così conosciuto ed apprezzato come oggi. Li c'è già tutto, non serve altro per studiare, comprendere ed amare questo grandissimo autore. Ho difatti guardato con simpatia, e subito acquistato pur possedendo il rarissimo originale, la ristampa anastatica di "Kodachrome" fatta dall'editore inglese MACK.

Grazie ad iniziative culturali come questa, che ha però dovuto attendere la grande sensibilità di un editore inglese per essere realizzata, si diffonde e difende nel tempo l'opera di Ghirri, non certo facendo diventare dei costosi feticci alcune delle sue stampe, peraltro ormai pesantemente usurate dal tempo.

Luigi Ghirri ebbe all'epoca il coraggio meritorio di perseguire una sua linea di lavoro concettuale in fotografia, senza però accettare di venire considerato pienamente "artista concettuale", come altri suoi amici invece furono. Portò avanti i suoi progetti d'autore, specie all'inizio, basandoli su riprese fotografiche estremamente meditate e preparate, ma poi stampate come fotografie qualunque: così come uscivano dal laborarorio con il trattamento standard, senza infarciture che le rendessero "belle" e preziose. Poi, è vero, si arrese un po' e mise in piedi le serie di progetti sui luoghi con quei toni tutti chiarini e perfettini messi a punto con Ghi, il suo stampatore di una vita intera, ma si trattò in prevalenza di progetti esposti e pubblicati nell'ambito di commissioni pubbliche o di sponsorizzazioni aziendali illuminate. Non si comportò così solo per scelta espressiva, ma anche direi politica. Era anarchico nel suo DNA e non rincorreva certo i salotti esclusivi da arredare con le sue immagini.

Detto tutto questo, potrei anche capire, e perfino condividere, la vendita a migliaia di euro di sue stampe fotografiche se questo servisse a sostenere concretamente l'attività di un Ghirri vivente e attivo, ma siccome serve solo a far fare del business postumo a chi gestisce il suo lascito, la cosa mi risulta particolarmente indigesta.

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